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33.2 – Le 10 cose per cui vale la pena vivere, partire, restare. Reloaded.

Per simmetria riaggiorno la mia lista delle 10 cose per cui… La situazione è simmetrica a quella che mi spinse a fare quelle tre liste quasi 4 anni fa quando stavo lasciando Torino… ora a Torino ci rientro

LE DIECI COSE PER CUI VALE LA PENA VIVERE

  • Guardare la Pianura Padana dalla terrazza superiore della Sacra di San Michele, in una giornata limpida e tersa
  • il misto di esaltazione e paura che annuncia l’inizio di una nuova avventura o di un nuovo viaggio
  • le fusa disinteressate del gatto che ti si piazza prepotentemente sulla pancia in una giornata nera
  • gli errori, quando li fai, quando te ne accorgi e quando li ripeti
  • la neve quando cade a fiocconi densi e zittisce l’universo attorno
  • camminare, in giro per i sentieri di mezzo mondo
  • i compagni di viaggio che si incontrano e che condividono un pezzo più o meno lungo di strada
  • le notti in cui trovi un rifugio da te stesso
  • la buona birra
  • il buon cioccolato

LE 10 COSE PER CUI VALE LA PENA PARTIRE

  • Le mia alpi, visibili e vicine
  • finire il salasso economico continuo che vivere a Bologna implica e ricominciare a vivere su un altro tenore
  • il caldo allucinante d’estate
  • avere la mia famiglia vicino
  • i miei amici a Torino
  • le migliori opportunità di lavoro
  • la cioccolata e i dolci (da Pfatish a Gobino, da Samabaia a Fiorio)
  • la mia splendida casa con il parquet flottante e le porte verdi
  • la carne di fassona
  • l’esagerazione e lamentio tipicamente bolognose

LE DIECI COSE PER CUI VARREBBE LA PENA RESTARE

  • La tana del Luppolo e J.B.
  • Il circolo Evolution
  • l’odore dei tigli a maggio (che bel maggio quest’anno, che bel maggio è stato)
  • i miei nuovi amici di giochi e di luppolo
  • il mio gruppo di kendo
  • la libertà totale e incondizionata
  • i miei colleghi
  • l’ufficio in pieno centro
  • my S.O. & Co.
  • l’anima effimera

 

Well, I woke up in the morning
There’s frogs inside my socks
Your mama, she’s a-hidin’
Inside the icebox
Your daddy walks in wearin’
A napoleon bonaparte mask
Then you ask why I don’t live here
Honey, do you have to ask?

Well, I go to pet your monkey
I get a face full of claws
I ask who’s in the fireplace
And you tell me santa claus
The milkman comes in
He’s wearing a derby hat
Then you ask why I don’t live here
Honey, how come you have to ask me that?

Well, I asked for something to eat
I’m hungry as a hog
So I get brown rice, seaweed
And a dirty hot dog
I’ve got a hole
Where my stomach disappeared
Then you ask why I don’t live here
Honey, I gotta think you’re really weird.

Your grandpa’s cane
It turns into a sword
Your grandma prays to pictures
That are pasted on a board
Everything inside my pockets
Your uncle steals
Then you ask why I don’t live here
Honey, I can’t believe that you’re for real.

Well, there’s fist fights in the kitchen
They’re enough to make me cry
The mailman comes in
Even he’s gotta take a side
Even the butler
He’s got something to prove
Then you ask why I don’t live here
Honey, how come you don’t move?

(On the road again – Bob Dylan)

Stato

32.1 – Samba notturna

Notte, buio pesto, silenzio tombale. Spalanco gli occhi di colpo e mi tengo al materesso per attutire il colpo di frusta del rientro inatteso dal sogno. Un attimo prima ero su un vecchio tram nella città immaginaria (un po’ Torino dei pieni anni ’80, un po’ Praga, un po’ Parigi BoBo) in cui mi rifugio nei miei viaggi onirici, ora sono su un letto in una stanza buia.

Mi sono accorta di fare un vita davvero randagia, quando arrivando stropicciata al bar davanti all’ufficio per colazione, il proprietario ha preso il vizio di chiedermi: “da quale angolo del mondo arrivi oggi?” E io mi sono sorpresa più volte a rispondergli in modi differenti (Sicilia, Corsica, Madagascar, Torino, Ferrara, Bolognina…). Mi sono accorta poi che la mia vita cominciava ad essere un po’ troppo randagia quando ho cominciato a non riuscire ad orientarmi al mattino. E’ cominciato a succedere in Madagascar, quando ho ricominciato a dormire.

Insomma, mi sveglio di soprassalto, forse per il troppo silenzio, e atterro sbigottita in un letto, in una qualunque parte nel mondo apparentemente.

Poi metto a fuoco gli odori, capisco dove sono, riconosco il luogo come amichevole e riconosco la zampetta del mio peluche che ovviamente dorme ignaro sul cuscino affianco. Immagino la nebbia dietro la finestra e improvvisamene nella mia testa parte una sambetta leggera, fatta di svolazzi di costumi colorati e mulatte ancheggianti. Ta-tarara Ta-ta-tararara Ta-tarara-raaaaaa…

Brasil! Brasil!
Pra mim, pra mim
Brasil!
Terra boa e gostosa
Da morena sestrosa
De olhar indiferente
O Brasil, samba que dá
Bamboleio, que faz gingar
Ó Brasil, do meu amor

Insomma sono le 5 del mattino, fa un freddo cane, e io me la rido tra me e me  canticchiando Aquarelo do Brasil nella mia testolina bacata. Non ho bevuto ieri sera, non ho preso sostanze strane… Quindi o sono appena sprofondata nell’insanità mentale (e allora è meglio chiamar la neuro) o sono semplicemente felice, felice di quella felicità stupida e leggera di chi non riesce a (o non vuole) vedere più in là di un palmo dal suo naso. Andiamo per la seconda, anche se costa un certo coraggio, cazzo.

Prendo il coraggio a quattro mani, lascio scorrere la samba e mi reimmergo nel sonno strizzando il peluche (che non si ribella neppure, da buon peluche).

Brasil! Brasil!
Oi estas fontes murmurantes
Oi onde eu mato a minha sede
E onde a lua vem brincar
O, esse Brasil lindo e trigueiro
É o meu Brasil brasileiro
Terra de samba e pandeiro
Brasil! Brasil!
Pra mim, pra mim…

 

Stato

29 – La fortuna è una donna capricciosa e ubriaca

La fortuna non esiste o per lo meno mi sono sempre ostinata a credere profondamente che essa non sia altro che un dividendo a fronte di tanto sudore investito. Ma…

Dopo più di un anno, al vero quasi due, di totale assenza della grande meretrice dalla mia vita, essa si rifà viva in tenuta da Charleston (ogni riferimento non è casuale). Sono stata un po’ indecisa tra il prenderla a sprangate sul naso o spargere petali dove appoggia i piedi. E’ stata in vacanza, dice, si era stufata del mio noioso tran tran quotidiano. Per farsi perdonare ha portato una serie di piccoli presenti:

  • un biglietto di sola andata per il ritorno
  • un nuovo animale totem, più buffo e assurdo che mai
  • un giovane lupo di pianura
  • una scappatella nell’altro emisfero (ma questa è un’altra favolosa avventura)
  • e amici, tanti, con cui condividere il tavolo di questo immenso gioco aspettando la partenza

Con grande stupore e la gioia di un bambino la vigilia di Natale, mi preparo a liberare il pacchetto da chellophane e respiro prima di leggere attentamente le regole, che è sconsigliato questa volta, a questo tavolo, sbagliar la mossa.

Poco senno ha chi crede la fortuna

O con preghi o con lacrime piegare,

 E molto men chi crede lei fermare

Con senno con ingegno o arte alcuna.

(Giovanni Boccaccio)

P.S. che la troia, nel suo giro, offra un bicchiere di idromele anche a qualcuno dei miei amici che, per varie vicessitudini, meritano una visita (M., L. e V. bon courage)

 

Digressione

15 – Luis Vuitton e la mantide

Al baretto quasi sotto casa non ci vado quasi mai, quasi più. Nella mia vita precedente ci andavo spesso e tra quelle quattro mura ho fatto più di un’amicizia, amici che ho lasciato indietro, come quel luogo. Ma l’altra sera mi è saltata la serata, mi è saltata tardi per recuperarla e ormai ero nei paraggi…

quindi con quello stesso spirito con cui si sfoglia un album di foto ricordi, mi sono recata al bar a prendere un aperitivo.

Come previsto al bar ho trovato qualche vecchio amico, e qualcheduno nuovo. Sono stropicciati come me. Hanno una vita più o meno caotica, più o meno in ricostruzione e si barcameno tra il sonno arretrato, l’alcol, e qualche avventura. Buffa combricca di post-adolescenti un po’ attempati disillusi dalla vita e cinicamente romantici.

Avevamo una vita, progetti, piani, una volta. Poi è volato tutto per aria, a chi in un modo a chi nell’altro. E ora viviamo alla giornata come moscerini della frutta. Niente progetti, niente futuro, ma si, tanta vita, ma proprio tanta (quanta non ne avevi neanche a vent’anni).

Così tra racconti della fine del mondo, gin/vodka & tonic, prese per i fondelli e discussioni pseudo lavorative si finisce sempre lì… sulle disquisizioni in merito all’amore e ai suoi massimi sistemi.

L’amore è una cosa strana. Anche quando ha leso la tua fiducia, ti ha smontato la vita e rivoltato come un calzino, ancora in qualche modo ci credi e ancora lo cerchi. O meglio lo cerchi e non lo cerchi, soprattutto ne parli, perché finché ti limiti a parlarne davanti a un drink non può più ferirti (e quanta paura abbiamo che ci dilani la carne di nuovo). Così ognuno ognuno vomita il suo cinismo e la sua disillusione in merito. Ognuno ammette che no, non riuscirà a fidarsi mai più, e promette che mai, mai più, farà progetti che includano un altra persona nella loro vita. “Mai”, “mai più”, sono parole inutili, abusate, esattamente come quel “sempre”, “per sempre” in cui hai creduto a suo tempo, e che ti ha lasciato a piedi in autostrada sotto la pioggia. In verità siamo tutti alle porte, che aspettiamo qualcuno che abbia la forza, il coraggio e la voglia di divelgere quello spillone di ghiaccio emotivo che ci tiene inchiodati al muro come farfalle imbalsamate e che ci faccia riprendere a volare alti, noi, la nostra vita, i nostri progetti. Ma ci vuole la persona giusta, e il coraggio di un leone, e la forza di un aeroplano.

C’è chi vorrebbe un partner il cui concetto più complesso sia parlare della borsa di ‘Louis Vuitton’. Ne ha avuto abbastanza di uscite intellettuali e radical chic ai workshop sui libri, ai cinema d’essai, ai café chantant e compagnia bella. Troppa fatica, troppa finzione, troppa artificialità. Allora tanto vale uscire rilassati, parlando di Louis Vuitton. A 40anni non hai davvero più bisogno di giocare all’eterno duello di chi sia più affascinante o più intelligente. Se sei affascinante lo sai, e sai se sei intelligente. Non hai bisogno di conferme.

C’è chi sogna il toy boy, o le toy girl. Guarda quei fisici statuari nonostante l’overdose di alcool e di pigrizia e se li sogna nel letto tutta notte. Guarda e sogna, poi che abbia o non abbia l’occasione viene annichilito dal terrore del post-coito. Si perché un uomo o una donna può dire quello che vuole prima. Gli ormoni fanno passare tutto in secondo piano. Il problema é il dopo, quando i tuoi ormoni grossi come pony sono andati a dormire e tu rischi di realizzare davvero che ti sei portato a letto un adolescente, con interessi e maturità da adolescente. Allora o ti suicidi per la vergogna o uccidi lui / lei per mantenere il segreto. Un’ardua scelta.

C’è chi perde del tempo con una qualche semi-storia impossibile. E ci mette del tempo proprio perché è impossibile. Finita a priori, morta senza avere la possibilità di vivere. L’avventura più sicura del mondo. Sai che non ci puoi scommettere nulla, sai già come finirà, sai già che la persona dall’altra parte è messa come o peggio di te. Sentimenti a redini corte, vincoli pochi o nulla, tanta vita e zero futuro. Distillato di disillusione pura per disillusi hard core.

In ogni caso, le persone normali le fuggiamo con cura.

C’era un tempo che i miei occhi
non vedevano che te,
c’era un tempo che dormivi accanto a me
senza pensare io credevo tu potessi dedicare
la tua vita solo a me.
Eri bellissima,
quando mi amavi.

Non ho mai capito bene
come fosse cominciato,
so soltanto che sei tu che l’hai voluto,
certo però, non era un caso tu volessi far cambiare
questa vita ch’era in me.
Non ti bastavano
le mie canzoni.

Dicevi che l’amore
è una strada senza uscita,
ho spostato le frecce ai crocicchi della vita;
la strada si distende
e mi porta ad andar via
non c’è posto per l’amore nel tuo mondo di magia.

C’era un tempo che parlavi
della forza del destino,
degli ostacoli che getta sul cammino,
ma io non ho creduto alle leggende che tuo nonno
ti cantava intorno al fuoco;
non sono stato al giuoco,
non ho accettato.

(Bertoli – C’era un tempo)

 

Digressione

11 – Cherchez la femme, ou l’homme

Abbiamo tutti le nostre necessità. Tra queste esiste quella di avere una persona accanto, per un tutta la vita, un ora, un secondo. Al netto delle necessità fisiche ovvie, c’è quella piccola esigenza spirituale che ti prende la notte, di concentrare quell’ultimo pensiero cosciente su qualcuno.

Così tutti cercano qualcuno. Spesso anche quelli che qualcuno affianco ce l’hanno già, ma che ormai è – per quanto fisicamente vicino – lontano anni luce da lì. E spesso quel qualcuno che cerchiamo è immaginato, sognato, ricordato… ma soprattutto ignaro.

C’è qualcuno che asserragliato nella sua fortezza inespugnabile sogna l’amore che lo strappi dalla sua postazione. Sogna e sogna forte e mentre sogna scaglia cannonate a tutto ciò che osa bussare al portone. Vorrei amarti ma non posso. Potrei amarti ma non voglio. E il cumulo di cadaveri nel fossato si estende.

Ci sono altri che corrono dietro a chi scappa. Più scappi, più si ossessionano sul come e sul perché il loro presunto amore non sia corrisposto. Cercano le situazioni più improbabili, gli esseri più sfuggenti, evanescenti, instabili. Sono punti di accumulazione del caos. Poi se l’oscuro oggetto del loro desiderio si quieta e si doma, improvvisamente l’interesse scompare. Ti amo perché fuggi, fuggo perché mi ami. Un gran consumo di suole e di energie.

Alcuni poi cercano qualcuno che li faccia brillare. Amano sé stessi, sempre e soprattutto e hanno bisogno di una platea. Per loro l’altro è la fonte di stima e di amore che costantemente massaggia il loro ego con un balsamo di lacrime e sangue.  Ti amo perché attraverso te amo meglio me stesso. Dorian Gray gli faceva una pippa.

C’è chi corre dietro al fascino di qualcuno che gli è inacessibile. Perché è completamente diverso, perché è mortalmente più intelligente, più strano o semplicemente perché a sua volta sta correndo dietro a qualcun altro. Corre e corre, si straccia e si umilia senza rendersi conto – o peggio, pur rendendosi conto – che non ce n’è ed è assolutamente improbabile che in futuro ce ne sia. Corre rincorre, e intanto grida ‘Guardami! io sono qui! Ti prego guardami!’. Ti amo perché mi stracci l’anima.  Poi prima o poi a qualcuno tocca sempre pulire…

Qualche altro avrebbe qualcuno accanto, ce l’ha, e forse va bene. Ma gira in caccia lo stesso per quel piccolo brivido che lo/a faccia sentire vivo/a. Una notte, una ora, un minuto di faville per sentirsi ancora parte del gran gioco di caccia alla volpe che muove il mondo, anche se in teoria di quel gioco non può, non dovrebbe più far parte. Amami perché sono vivo, io amarti non posso.

Gli ultimi sognano. Dal loro carcere, dal carcere che si sono costruiti sognano. Sognano un amore passato che li ha resi felici e oramai si è dissolto. Stanno alla finestra e guardano con aria mesta un futuro che non vedono. Non cercano neppure, vorrebbero essere cercati e strappati alla loro infelicità, e visto che nessuno ti cerca se non ti rendi cercabile restano lì, mesti. Ti amo perchè mi hai amato. E l’amato/a spesso è in Jamaica da un po’, dove si è ampiamente consolato a botte di canne, Mojito e mulatte/i.

Prendete un po’ di elementi a caso,  metteteli in un gruppo più o meno chiuso. Mescolate bene e poi con entomologica pazienza guardate innescarsi la caccia all’uomo (o alla donna). Vedrete assedii, attacchi e cannonate, sangue, lacrime e fughe, castelli e prigioni. Un piccolo universo che scatena la più grande e cruenta guerra possibile. Vi sembrerà di avere davanti una di quelle piccolo biosfere da comodino, in cui la vita si autoalimenta dal niente per anni.

io sono la classica persona
che ama solo quando soffre
o quando sente più vicino l’abbandono.
E sento qualcosa che ci unisce
destino fatale e ineluttabile
come un legame
tra la vittima e il carnefice.
Allora, cosa chiedi di meglio?
Se a te piace farmi male…
Legami le mani
legami con doppi nodi all’anima
porta la mia vita
a correre da qualche parte e stancala
solo mi farai felice
se sarai crudele con me
e se sono prigioniero
io mi sento libero.

Questo gioco delle parti
prevede la tua fuga
e il mio aspettarti
ci porta dentro
una spirale interminabile.

(Mario Venuti – Crudele)

 

 

Stato

10 – Vertigine

Mi capita spesso.

Cammino sino sul bordo del baratro, metà dei piedi nel vuoto, e, con gli occhi socchiusi, guardo il vuoto. Assaporo il brivido assurdo che altalena tra l’orrore di cadere e la meraviglia del lanciarsi, senza sapere esattamente cosa sperare o pregare.

Uno strapiombo in montagna, una scogliera a picco sul mare, un pozzo di decine di metri in grotta, una nuova avventura, un cambiamento, un nuovo progetto lavorativo, gli occhi cangianti e imperscrutabili di qualcuno… sono tutte vertigini che amo assaporare a lungo prima di decidere se fare un passo nel vuoto o retrocedere.

Poi, preferisco – in genere – provare a volare: con le ali di un nibbio a volte, con quelle di Icaro, altre.

Che cos’è la vertigine? Paura di cadere? Ma allora perché ci prende la vertigine anche su un belvedere fornito di una sicura ringhiera? La vertigine è qualcosa di diverso dalla paura di cadere. La vertigine è la voce del vuoto sotto di noi che ci attira, che ci alletta, è il desiderio di cadere, dal quale ci difendiamo con paura. (Milan Kundera)

Audio

9.1 – Arron d’aimar

Arron d’aimar, quauque còp que saunegi
A mar granas de nèu, aus navius negats,
Aus arríders gaujós, au dia qui punteja
Au dessus d’un camin qui non s’acaba pas.

	Que t’aimi, pra’mor deu temps qui acaças,
	Que t’aimi, per la nèu e lo huec,
	Que t’aimi, caminaram amassas,
	Que t’aimi, per l’aiga o l’eslambrec.

La frinèsta qu’ei ubèrta, e la lua que’t bailina,
E tu que vas dromir, ton cap s’ei amagat,
Per delà lo plaser, e la tendressa engalina,
Jo qu’espii ton còs, ne’u gausi pas tocar.

Arron d’aimar, quauque còp que saunegi
Que lo vent nos a miats capsús los crums negrós,
Hens un país shens fin, on dab tu me passegi,
On lo monde perdonan aus qui s’aiman, urós.

(Nadau - Arron d'aimar)

Ogni tanto trovi le tue parole migliori – di adesso o di un altro tempo – in una lingua che appena e per caso conosci. E ti rimangono attaccate addosso, come una pelle sottile.

E già so che qualcuno, leggendo, riderà molto.

 

Digressione

7 – Un altro giro di giostra

La vita dei miei coetanei, delle mi coetanee si può grossomodo dividere in tre macrogruppi:

Gli arrivati, ovvero quelli che dalla vita hanno avuto tutto quello che si aspettavano: una moglie / un marito, i marmocchi perfetti, un lavoro ok, la casa, le vacanze. Hanno avuto quello che cercavano e adesso si trascinano avanti cullati dalla risacca. Apparentemente felici, apparentemente vivi.  Vivranno così a 35 anni, come a 40, come a 70. D’ora in poi la vita è dolcemente in discesa, magari un po’ noiosa, ma dolcemente in discesa e senza sorprese. Li trovi in giro, con la famiglia a carico e quel sorriso un po’ ebete e un po’ compassionevole che riservano a noi ‘scapestrati’.

Gli annichiliti, quelli che dalla vita, a differenza dei primi, non hanno ottenuto quello che volevano, o peggio l’hanno ottenuto e perso. Camminano con lo sguardo per terra, la testa bassa, gli occhi spenti. Purtroppo per loro sono rimasti schiacciati. Li riconosci per come camminano, per come guardano il mondo, con quell’atteggiamento da animali rinchiusi da troppo tempo in una gabbia troppo piccola…

I caotici, gli irrequieti, le stelle danzanti. Quelli che non stanno mai fermi, che non rimangono mai incollati in una situazione, non si adeguano. Sono quelli che ritrovi dopo qualche anno in un’altra città, immersi in un altro lavoro, con un’altra situazione e un’altra vita. Si ostinano a essere vivi, e te lo dicono a chiare lettere ‘io sono vivo’. Nonostante le corse, le pause, le cadute e le ginocchia sbucciate, non riescono a rinunciare ad un altro giro di giostra. Sono i Peter Pan, le Alici nel paese delle meraviglie. Creature che hanno il caos dentro di sé e lo spargono generosamente intorno.

Io da sempre sono caotica. Una stella danzante, un’Alice (nel paese delle Meraviglie) di nome e di fatto.  E tutte le volte che incontro qualcuno/a della mia razza  ringrazio a caso una qualche divinità del Caos con un sacrificio di cioccolata e alcool.

Vivo ora, qui, con la sensazione che l’universo è straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra.

Tiziano Terzani – “Un altro giro di giostra. Viaggio nel male e nel bene del nostro tempo”