<<Fermati. Fermati e guardami.
Esci, per una volta, esci da quel beffardo succede. Appoggia l’armatura sul muro, togliti anche la cotta di maglia, e smetti, per un attimo di scherzare.
Raccontami come, com’è stato il giorno in cui il mondo ti è esploso in mano. Quando hai dovuto sederti per terra, perché le ginocchia tremavano troppo. Quando il cuore è impazzito e il fiato, tra i denti stretti tanto da scricchiolare, si è spezzato. Quando hai stretto forte le palpebre sui tuoi occhi cangianti per fermare le lacrime, perché oramai sei grande, perché sei sempre stato un pilastro. E i pilastri non piangono, neanche quando si schiantano al suolo e si sbriciolano in migliaia di frammenti.
Raccontami di quella telefonata, che hai fatto, quando il cervello ha cominciato a girare in tondo, attorno alla poltiglia di carne e sangue che un giorno chiamavi anima. Quante volte hai chiesto – urlando come un animale ferito a morte – perché, incapace di capire?
Raccontami dei pensieri che sono stati l’eco dei tuoi passi la notte. Dimmi della rabbia che ti ha fatto slogare i polsi sui muri e della paura che ti ha inchiodato ad un pilastro incapace di muoverti, del tormento della mente che non ha rallentato mai lasciandoti insonne per giorni. Spiegami. Raccontami dell’inumana fatica del primo passo che hai mosso dopo l’atomica, e di tutti quelli seguenti, che continui a mettere.>>
<<Non sono stati giorni diversi dai tuoi. Succede a tutti. >>
<<E poi?>>
– Poi passa. Passa tutto prima o poi.
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PS: Questo articolo è rimasto tra tastiera e rete per molto tempo, è ora di lasciarlo libero.