Digressione

17.1 – piccolo dizionario piemontese – italiano

Nonostante siano ormai anni che vivo in quel di Bologna, tutt’ora mi capita di trovarmi nel centro di una conversazione e usare qualche piemontesismo (ormai italianizzato) che i miei amici bolognesi non capiscono… quindi, anche se con un po’ di ritardo, ecco una breve lista di quello che spesso dico e che non viene normalmente capito:

  • gadàn, gadano: sciocco, inconcludente.
  • badola: stupido, citrullo.
  • picabale: rompicoglioni, tignoso, fastidioso. Letteralmente ‘becca palle’
  • pisa pi curt, piscia più corto: racconta meno balle, tiratela di meno.
  • dé il bleu, dare il blu: abbandonare, lasciare, scappare
  • del pento, del pentu: che non vale nulla, malfatto, inadeguato. letteralmente ‘del pettine’
  • fé flanela, far flanella: pigrire, fare il pelandrone, oziare.
  • fé schissa, far schissa: non presentarsi, dare pacco, non andare a scuola o al lavoro senza una scusa plausibile
  • gaute la nata: fatti furbo.
  • sté da pocio, sta come un puciu: star bene, star comodi, coccolati. (ndr: il puciu è il pulicino)
  • fafiuché: parolaio, persona che parla tanto e fa poco. letteralmente ‘fa nevicare’
  • dis’ciucte, disvite, disgaute: svegliati. (ndr: il ciuc è il cesto sotto cui crescono i pulcini. disciucte quindi ha un significato di esci dalle sottane)
  • bugia! buite!: muoviti
  • original, originale: strano, matto, sgradevole
  • sgjai: schifo viscido
  • scher: schifo ruvido
  • sagrin: dispiacere, pensiero
  • piciu, picio: coglione, cazzone
  • stupa, stuppa: sfiatata, noisa, inconcludente
  • bogia nen!: tieni duro, rimani concentrato sull’obiettivo (e non posapiano, ragazzi, la storia è diversa)
  • per la punta d’un pluc sant’la bala d’un poj: per il rotto della cuffia (letteralmente per la punta di un pelo sulla palla si un pidocchio)
  • avanti Savoia: forza e coraggio
  •  barot, barotto: campagnolo, grezzo.
  • blagheur: vanitoso, che si da arie, sbruffone
  • lajan, laiano: pigro
  • rabadan: roba inutile, senza valore
  • piatola, piattola: persona che si lamenta, lagna
  • patelavache: persona grezza, grossolana. letteralmente ‘picchia mucche’
  • sbalucà, sbaloccato: sbalordito, esterefatto, scioccato.

Potrei usarne altre, meno frequentemente…. mi riservo il diritto di aggiornare la lista (e gli amici sabaudi sono caldamente invitati a correggermi e o a fare aggiunte qui e lì)

Digressione

9 – La succursale di Stoccolma

Torino non è molto più a Nord di Bologna, ma il clima tra le due città è diverso. E se Bologna è generalmente una città calda su cui spesso e volentieri aleggia un cielo azzurro che ben si intona con il rosso della città, beh… Torino è diversa.

Torino ti attende con il suo migliore abbraccio la sera, quando scendi dal treno. Esci da Porta Susa, arrivando dai 35 gradi di Bologna, in maglietta e ti trovi sotto il diluvio universale. Le dona eh. E’ bellissima, nel suo fascino austero, con il suo cielo plumbeo, lo scrosciare dell’acqua e le luci che rimbalzano sul bagnato.

Tu rimani lì. Battendo i denti rimani lì a guardarla, incapace di muoverti. Bestemmiando di freddo continui a rimanere lì, attonito e innamorato, mentre soffri come un cane.

Torino è un’amante che si concede poco, che si fa intravedere e si cela, che si nasconde e si nega e quando ti trova innamorato a pendere dalle sue labbra, ti gela l’anima e ti guarda sorniona soffrire.

Torino mi ricorda certi uomini e certe donne. Quelli o quelle da cui sarebbe opportuno fuggire, per persone più assennate e più miti, ma da cui proprio non riesci a staccare lo sguardo e il cuore.

Bologna invece è una ragazza assennata, quella che diventa sempre l’amica di una vita.

Chi mi conosce, sa che non c’è competizione.

 

“Ma cos’è? La succursale di Stoccolma?” – disse un amico Aquilano uscendo da Caselle

Digressione

3.1 – Sabaudade

Mi giunge la notizia che una mia amica ho ottenuto oggi la residenza a Torino. E non sa in che condizione si è messa… perché Torino ti lega e ti intrappola in quel suo misto di austera dignità sabauda, charme da Parigi ‘vorrei ma non posso’ e ambiguità da città di frontiera.

Se ti leghi a Torino, in qualche modo, ne rimarrai schiavo come un amante amato e rifiutato da una nobildonna ottocentesca.

Torino e quell’amaro in bocca, quel groppo alla gola che ti prende quando ti allontani e ti lasci alle spalle i suo teatro di alpi. Quel senso di prigione dorata che ti accoglie quando ci ritorni. Quell’idea lontana che ti tinge le giornate di malinconia quando sei altrove.  Quel senso di vuoto che ti colpisce gli occhi quando scendi in pianura.

Lo sanno bene i Torinesi emigrati (perché da Torino, che è un mondo a sé, né francese né italiano, si emigra anche se ti sposti in Italia) come me, che si portano dietro questa saudade tutta brasiliana…

Di sabaudade si scrive, si canta, si blogga.

E’ una malattia, che dovrebbe essere catalogata nei manuali di medicina.