Digressione

21.1 – le stelle cadenti mentono

Rinella, un posto disperso a sud tra fuoco, acqua e cielo. A notte inoltrata me ne sto stravaccata sulla sdraio del terrazzo superiore dell’hotel L’Ariana, dopo una giornata di sudore e cammino, a guardare le stelle con i miei compagni di viaggio. La via lattea sta dando spettacolo di sé, tagliando il cielo in due metà perfette. Identica cosa fa la scia dei vulcani (Etna, Vulcano, Stromboli, Vesubio) sotto di essa, speculare. Cicatrici nel tessuto continuo dell’universo.

Insomma, siamo lì, stravaccati con gli occhi nel cielo a sprecare parole, a riempire quel disagevole senso di infinita piccolezza della vita umana davanti alla devastante grandezza dell’universo. Cerco e trovo con sguardo sicuro le mie costellazioni (Cassiopea, le orse, Orione, le Pleiadi) e ne invento di nuove (il panda magro, l’elefante zoppo, il riccio di mare, il cavalluccio marino gay). Poi saetta una piccola luce, un piccolo volo di un paio di secondi scarsi, parallelo alla via lattea.

<<una stella cadente, esprimi un desiderio>>

<<no, tanto le stelle cadenti mentono. Mentono dal principio, dal nome, perché non sono stelle, e tecnicamente neanche cadono.  E non hanno mai esaudito un mio desiderio, ammiccano, ti illudono e poi ti lasciano da solo a sperare. Bisognerebbe dire “guarda un meteoritino con le chiappe in fiamme, esprimi una maledizione”. Allora forse si prenderebbero la briga di darsi da fare. Ma certo, se sei un meteoritino sfigato, pagato dall’universo il minimo sindacale per darsi fuoco, forse non avresti voglia di assolvere le richieste di un pigro umano spaparanzato sulla terrazza.>>

<<secondo me erano solo sbagliati i desideri che hai espresso>>

<<Bene. Avanti con la prossima stella. Ne ho uno zaino da 60 litri pieno, di desideri sbagliati>>

(Ai miei compagni e alle mie compagne di viaggio alle Eolie – a una in particolare. Ai miei compagni di desideri inesauditi, ovvero a tutti quelli con cui ho guardato le stelle, parlando appollaiata su balcone, un terrazzo, stravaccata per terra o camminando per un sentiero in montagna di notte. Ai miei desideri inesauditi, a te.)

Ti brucerai
Piccola stella senza cielo.
Ti mostrerai
Ci incanteremo mentre scoppi in volo
Ti scioglierai
Dietro a una scia un soffio, un velo
Ti staccherai
Perche’ ti tiene su soltanto un filo.

Ligabue – Piccola stella senza cielo

Digressione

16.3 – figli del vento

Gli aquiloni sono un gioco strano, banale in sé e complicatissimo insieme. Ci sono aquiloni statici, per i contemplativi, vistosi aquiloni gonfiabili, iperattivi acrobatici, grintosi combattenti e… all’altro capo del filo ci sono gli aquilonisti, gente che lancia nel cielo i propri sogni e i propri progetti.

Gli aquilonisti sono un popolo eterogeneo, sociale (eh si, perché quando manca il vento… beh qualcosa devi pur fare), accogliente e aperto. C’è l’imprenditore facoltoso e l’operaio, c’è lo studente e il disoccupato, l’agricoltore, l’informatico, il percussionista, l’artista di street art, l’operatore Reiku. Per qualche giorno – ai raduni – ci si mescolano i progetti, le idee, gli stili di vita, mentre si chiacchiera con il naso all’insù ad annusare il tanto desiderato vento.

E quando di alza il vento… si brigliano le vele caricateo di sogni, ricordi e progetti, si strattonano i cavi e si spediscono nel cielo, sperando che il cielo, gli uccelli, o chiunque altro vi abiti sappiano che farne. Si vola, la musica nelle orecchie, gli occhiali da sole e il cappello da baseball ben calato sul naso, a cuor leggero.

C’era una donna / l’unica che ho avuto / aveva i seni piccoli / e il cuore muto
né in cielo né in terra / una casa possedeva / sotto un albero verde / dolcemente viveva
sotto un albero verde / dolcemente viveva.

Legato ai suoi fianchi / con un filo d’argento / un vecchio aquilone / la portava nel vento
e lei lo seguiva / senza fare domande / perché il vento era amico / e il cielo era grande
perché il vento era amico / e il cielo era grande.

Io le dissi ridendo / “Ma Signora Aquilone / non le sembra un po’ idiota / questa sua occupazione?”
Lei mi prese la mano e mi disse “Chissà / forse in fondo a quel filo / c’è la mia libertà
forse in fondo a quel filo / c’è la mia libertà”.
(Francesco De Gregori – Signora Aquilone)

Io ho portato a sgambare i miei draghi, gli fa bene. Giocano con gli altri draghi, fanno amicizia, poi magari si innamorano e volano via.