Mi giunge la notizia che una mia amica ho ottenuto oggi la residenza a Torino. E non sa in che condizione si è messa… perché Torino ti lega e ti intrappola in quel suo misto di austera dignità sabauda, charme da Parigi ‘vorrei ma non posso’ e ambiguità da città di frontiera.
Se ti leghi a Torino, in qualche modo, ne rimarrai schiavo come un amante amato e rifiutato da una nobildonna ottocentesca.
Torino e quell’amaro in bocca, quel groppo alla gola che ti prende quando ti allontani e ti lasci alle spalle i suo teatro di alpi. Quel senso di prigione dorata che ti accoglie quando ci ritorni. Quell’idea lontana che ti tinge le giornate di malinconia quando sei altrove. Quel senso di vuoto che ti colpisce gli occhi quando scendi in pianura.
Lo sanno bene i Torinesi emigrati (perché da Torino, che è un mondo a sé, né francese né italiano, si emigra anche se ti sposti in Italia) come me, che si portano dietro questa saudade tutta brasiliana…
Di sabaudade si scrive, si canta, si blogga.
E’ una malattia, che dovrebbe essere catalogata nei manuali di medicina.
Vero. Una malattia discreta senza manifestazioni eclatanti ma che ti timbra a fuoco da dentro.